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q lettera diciassettesima dell’alfabeto. Consonante sempre seguìta dalla vocale u, con la quale, quasi conglutinata, forma un solo suono: cu. È maschile e femminile: unu qu, una qu. Come lettera iniziale è molto comune negli antichi documenti sardi anteriori alla dominazione spagnola. È divenuta sempre più rara con l’influsso della ortografia di quella lingua, la quale, come si sa, ne fa un uso molto ristretto e le sostituisce in moltissimi casi la lettera c, o meglio il gruppo cu, che fa sempre sillaba distinta dalla vocale seguente. L’ha conservato solo nei casi in cui la pronunzia dell’u è scomparsa e l’u non serve più che a dare il suono duro al q gutturale. Que e qui per lo spagnolo suonano che e chi (il nostro che e chi si pronunzierebbero ce ci). Qua, quo son diventati cua, cuo o co. Il sardo, scempiando il dittongo , , , , dà all’u un suono distinto dalla vocale che lo segue, quindi deve rifiutare in precedenza il q, col quale non si conglutina, e sostituirlo con la c, come in ispagnolo; quindi non quadru, bisillabo come in italiano, ma -à-dru, trisillabo, come in ispagnolo cuadro. Quindi molte parole che cominciano per qua, que, qui, quo negli antichi documenti e nello stesso Dizionario latineggiante dello Spanu, sono già state incluse nella lettera C: cüa (o ca), cüe (o che), cüi (o chi), cüo (o co). Alcune si riporteranno anche in questa lettera non foss’altro per contentare anche quelli che ancora potessero tenere all’antica grafia sarda, derivata dal latino, e quelli fra i poeti che non si volessero persuadere dello sdoppiamento dei dittonghi apparenti üa, üe, üi, üo, che nella prosodia sarda, vera sarda, non esistono.